Venerdì 13 Aprile 2018, un giornale on-line di nome “Strana”, che ha sede a Kiev, capitale dell’Ucraina – il cui caporedattore a gennaio 2018 ha chiesto asilo politico in Austria, a causa delle pressioni ricevute che gli hanno fatto temere per la propria vita – riferiva che l’esercito ucraino stanziato nel Dobass è ormai certo di un’imminente offensiva russa su larga scala.
Domenica 15 aprile, l’esercito egiziano ha riferito di un attacco effettuato contro un campo militare del Sinai, nel corso del quale sono stati uccisi 14 presunti jihdaisti. Nel corso dell’attacco hanno perso la vita anche 8 militari egiziani.
Lunedì 16 aprile 2018, in Mali, militanti travestiti da caschi blu dell’ONU hanno lanciato un attacco a sorpresa contro basi francesi, causando moltissimi feriti ed un morto. Nell’attacco è stato utilizzato anche un razzo.
Queste notizie (visitate il sito guerrenelmondo.it per approfondimenti), non riportate con adeguata evidenza da alcun giornale e/o da alcun notiziario appartenente al cd main stream, parlano di Paesi a noi vicini – o geograficamente o politicamente – alcuni dei quali certamente definibili come europei o come contigui all’Europa, da un punto di vista culturale ma anche economico.
Abituati a considerare questi conflitti come necessari o inevitabili, la ns relativa attenzione è stata attratta, tuttavia, da un altro evento – assai meno significativo, in termini di vite umane coinvolte: l’attacco ad alcuni centri di analisi e ricerca chimica, siti in Siria, effettuato da Paesi membri della Nato (UK, USA e Francia) in assenza di alcuna risoluzione dell’ONU e che, per intensità delle dichiarazioni fatte dai capi di alcune delle maggiori superpotenze occidentali, ha fatto temere un ritorno ad una brusca contrapposizione tra USA e Russia.
La guerra, tuttavia, (definizione Enciclopedia Treccani) è un conflitto aperto e dichiarato fra due o più stati, o in genere fra gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi, ecc., nella sua forma estrema e cruenta, quando cioè si sia fatto ricorso alle armi; nel diritto internazionale è definita come una situazione giuridica in cui ciascuno degli stati belligeranti può, nei limiti fissati dal diritto internazionale, esercitare la violenza contro il territorio, le persone e i beni dell’altro stato, e pretendere inoltre che gli stati rimasti fuori del conflitto, cioè neutrali, assumano un comportamento imparziale.
Di sicuro il conflitto siriano è solo in parte classificabile come “guerra” perché in questa tristissima vicenda, che ha causato centinaia di migliaia di morti ed un esodo di almeno 3 milioni di persone (con migliaia di casi di sparizione di minori…) il diritto non è più utilizzato, da alcuna Parte in causa, quale strumento di risoluzione della controversia, bensì agitato quale spauracchio giustificativo delle aggressioni militari. Non dovremmo, però, dimenticare che, dopo la fine della seconda guerra mondiale, che aveva dimostrato l’insufficienza della “Società delle Nazioni”, si pervenne alla costituzione dell’ONU: non più società ma Organizzazione delle Nazioni Unite, a voler ribadire la necessità che, nella risoluzione delle controversie internazionali, non si considerassero come prevalenti le questioni economiche, bensì anche le istanze culturali e che si operasse non unilateralmente ma in maniera congiunta.
Il paradosso dell’assenza di un governo planetario è evidente nella circostanza che, in Siria, siamo fuori anche dalla definizione di “guerra”, se si considera che i Paesi attuatori dell’aggressione militare hanno operato unilateralmente, cioè fuori dall’autorizzazione dell’ONU, unica organizzazione che può autorizzare un intervento bellico, salvo il caso che uno Stato sia aggredito e si limiti a respingere tale attacco militarmente.
Quello che molte cittadine/cittadini non sanno è che l’ONU – cioè l’organizzazione che più di ogni altra presiede alla tutela della pace militare – non è strutturata su basi democratiche ma contempla un Consiglio, del quale fanno essenzialmente parte le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale, tra cui, per l’appunto, la Russia e gli USA. Il Palazzo dell’ONU ha sede a New York ma l’ONU è patrimonio delle Nazioni, e la crisi di credibilità e di funzionamento di tale rilevantissimo organismo del sistema giuridico internazionale – sebbene nota da almeno vent’anni – non ha trovato ancora delle soluzioni praticabili. Nell’ambito del Consiglio, infatti, ciascuno dei partecipanti ha un potere di veto, in relazione a proposte d’intervento militare. La compresenza di USA e Russia in tale Consiglio impedisce, in altri termini, che sia mai autorizzato un intervento, quando questo – indipendentemente dalla sussistenza dei requisiti giuridici per i quali viene richiesto – va ad impattare su un territorio/uno Stato che sia giuridicamente e/o politicamente ricadente nella zona d’influenza e/o d’interessi di una delle due Superpotenze.
Il diritto non è mai una cosa semplice perché è una creazione dell’uomo: in natura non esiste. In natura prevalgono forze inarrestabili, come le reazioni chimiche, le forze fisiche e persino l’aggressione. Per questo mi concedo un esempio.
Immaginate che il regolamento del vs condominio preveda che nessuna sanzione possa essere prevista a carico di un condomino, senza che l’assemblea approvi tale sanzione con la maggioranza di due terzi. Lo stesso regolamento di condominio, però, prevede che – qualora un condomino compia atti dannosi sulla struttura del palazzo – l’assemblea debba intervenire. Si da il caso che i figli di un condomino, che possiede il 40% dei millesimi, continuino ad imperversare, con comportamenti scorretti, a tutte le ore. Col 60% dei millesimi non si potrà mai ottenere una sanzione; tuttavia, se qualcuno agisse in assenza di un’autorizzazione dell’assemblea, si creerebbe un precedente: da qual momento in poi, ogni condomino potrebbe farsi giustizia da solo. Come risolvere questo dilemma? Un bel problema, perché sebbene i figli del condomino incriminato siano davvero rumorosi ed invadenti, ad oggi, in effetti, non hanno mai compiuto atti tali da rendere la situazione insostenibile.
Una mattina, però, uscendo di casa, trovate la scala del condominio imbrattata, scritte oscene ovunque ed escrementi di cane spalmati sugli zerbini. Inoltre c’è il portiere che strepita ed accusa a gran voce proprio quei discoli. Sopraggiunge un vicino, che giura di avere un filmato dove si vede chiaramente che sono stati loro a compiere quegli atti. Qualche flebile voce si leva, ricordando a tutti che occorrerebbe indire un’assemblea condominiale ma…il brusio si fa imponente e sull’onda del portiere, che ha le chiavi dell’armeria ed ha già cominciato a distribuire le mazze da baseball, si decide di entrare nella cantina del vicino e di sottrarre e distruggere ogni materiale che potrebbe essere usato per ulteriori atti vandalici: bombolette spray, pennelli ecc… E già che si son trovati escrementi di cane, si prende prigioniero il cane del vicino!
Nell’esempio descritto i paradossi e la tragicomicità sono più evidenti solo per ragioni di scala. In Siria non è avvenuto qualcosa di molto diverso: nessuno è in grado di esibire prove – cioè fatti documentati in modo oggettivo – che consentano di ritenere che vi sia stato davvero un attacco operato con armi chimiche, in danno della popolazione, ordinato e/o agevolato da Assad. Eppure, si è deciso, in assenza di autorizzazione ONU, di bombardare il territorio di uno Stato sovrano.
C’è però un’ulteriore – e più lampante – considerazione da fare: nessun autorevole commentatore si è chiesto quale interesse avesse Assad – ora che l’autoproclamato stato dell’Isis senza territorio, né riconosciuto dalla comunità internazionale, è stato sconfitto sul piano militare, peraltro col contributo prevalente e determinante dell’esercito russo – a bombardare chimicamente la propria popolazione. E’ come se – nel banale esempio di prima – i figli del vicino si fossero lanciati nell’assalto alla scala proprio un giorno prima che fosse inaugurato un nuovo giardino condominiale destinato alle scorribande tra ragazzi e al passeggio dei cani. Una circostanza alquanto singolare.
Gli art. 2, 3 e 4 della Carta delle Nazioni Unite ripudiano la guerra, come metodo di risoluzione delle controversie tra Stati sovrani. Altrettanto fa la Costituzione italiana, secondo il cui art. 11 l’Italia “ …consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni, promuove e favorisce le Organizzazioni Internazionali rivolte a tale scopo”.
Il testo mirabile della ns Costituzione non lascia nulla al caso: si parla di nazioni (e non di stati) per porre l’accento sull’aspetto umano, consentendo cioè che si considerino le identità collettive stabili, omogenee per cultura e tradizionalmente riferibili ad un territorio, escludendo cioè stati privi di legittimazione, come l’Isis o come altri meno violenti ma comunque estemporanei e non sufficientemente connotati da nazionalità. Allo stesso tempo, riconosce come rilevanti quelle comunità vaste cui è stato sottratto un territorio e/o che faticano ad ottenere un riconoscimento ma che sono storicamente riconosciute come nazioni (pensate agli Israeliani, ai Palestinesi o ai Kurdi). Ebbene, proprio perché siamo tra le nazioni e gli stati che hanno pagato un prezzo elevatissimo durante il secondo conflitto mondiale, la nostra Carta Costituzionale esprime un anelito di perseguimento della pace e della giustizia, ponendo dei paletti estremamente rigidi, rispetto alle limitazioni di sovranità necessarie alla partecipazione ad organizzazioni internazionali.
Sul diritto prevale sempre la storia e talvolta la forza: organizzazioni come la UE – che limitano fortissimamente la ns sovranità – in base al ns diritto costituzionale sarebbero compatibili col ns Ordinamento solo nella misura in cui perseguissero la pace e la giustizia. Altrettanto vale per la NATO. Ma possiamo affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che in ogni frangente storico, sia sempre stato così?
Alle origini di tutte le guerre vi sono sempre degli squilibri economici. Squilibrio economico significa differenza insostenibile tra la disponibilità di risorse che ha uno Stato e quella di un altro, geograficamente vicino o comunque politicamente prossimo (ad esempio per ragioni di competizione commerciale).
L’Unione Europea nasce proprio con quest’intento: ridurre progressivamente gli squilibri tra aree territoriali dell’Europa – intesa come continente geopolitico definito – in maniera da scongiurare l’inevitabile esplodere di conflitti tra Paesi troppo vicini per ignorarsi ma troppo diversamente sviluppati perché non si originino invidie, ambizioni e desideri di redistribuzione da attuarsi mediante il ricorso alle armi, qualora le differenze di sviluppo superino una soglia di accettabilità per il Paese economicamente più debole. Se penso alla Grecia, non posso nascondere il sospetto che tale iniziale intento sia andato affievolendosi nel tempo.
Forse nulla potremmo fare per fermare il conflitto insorgente in Siria, né sarebbe utile e percorribile una messa in discussione della ns adesione alla NATO o alla UE. Personalmente però ritengo un dovere ineludibile della ns Nazione quello di agire con ogni mezzo diplomatico, per riportare la discussione ed il confronto sulle finalità che tali Organizzazioni intendono perseguire, e fare in modo che ogni ns contributo sia rivolto alla riduzione degli squilibri economici, energetici, culturali e sociali tra gli Stati e le Nazioni – a cominciare dal lancio di una politica energetica che consenta definitivamente di abbandonare il carbone/il gas in favore di fonti di approvvigionamento energetico rinnovabili, nella prospettiva di un’economia realmente circolare. Si tratta di smettere di credere che i ns singoli comportamenti siano irrilevanti e che la colpa delle guerre sia da cercare sempre altrove: nel capo di Stato esuberante, nel dittatore disumano, nella rigidità di un credo religioso o nell’arretratezza culturale di un altro Stato, perché ogni ns comportamento – innanzitutto di consumo – ha un impatto sull’economia dell’intero pianeta e contribuisce ad aumentare o a diminuire gli squilibri da cui originano tutti i conflitti del Mondo. Dobbiamo pretendere dai ns Governi che indirizzino la spesa pubblica – cioè i ns soldi – verso tale orizzonte ed anche ribadire che se cediamo la ns sovranità, senza pretendere che in cambio le Organizzazioni internazionali operino in tali direzioni, saremo sempre moralmente (e talvolta militarmente) complici del perpetuarsi di situazioni disumane, come quelle a cui stiamo assistendo, inermi e umiliati.