Le moto non sono solo degli oggetti ma un’estensione della propria personalità. Ci sono oggetti che amplificano le ns capacità ma ce ne sono altri che cambiano la ns percezione del Mondo.
Ho sempre sognato di avere una moto ma da giovane, per ragioni economiche ed anche familiari (sono celebri i ricatti affettivi delle mamme napoletane…) ho sempre desistito. Quando ho deciso d’imparare a guidare una moto, ho scoperto cose meravigliose. Nessun’auto potrà mai dare la stessa percezione della strada. Da un lato, la moto – come l’auto – ti consente di coprire grandi distanze in poco tempo, ampliando la tua capacità di copertura dello spazio e consentendoti d’interagire con luoghi e persone distanti. dall’altro, però, a differenza di un’auto, non c’è alcun diaframma fra il tuo corpo e il resto del Mondo. Ho capito questa cosa nel primo viaggio fatto tra le colline marchigiane, l’Umbria e l’alto Lazio. Deviando per Rieti, dopo aver superato Spoleto (a proposito: siete mai stati a Rieti? E’ una città bellissima, sovrastata dal Terminillo, dove ha sede il centro geometrico dell’Italia. Un Duomo tra i più belli, un fiume oasi del WWF che la taglia in due e molte botteghe del centro che conservano ancora intatte le mangiatoie di epoca romana…andateci!).
Dicevo: deviando, finii in un piccolo paesino di montagna, con vicoli inerpicati verso la piazzetta; in quel momento pensai che, se avessi fatto quella deviazione con l’auto, mi sarei innervosito, preoccupato, avrei temuto d’incastrarmi e di non riuscire a proseguire o a fare retromarcia…Impensabile, poi, parcheggiare per annusare a piedi il profumo del piccolo paese. Con la moto ero riuscito ad attraversare gran parte dell’Italia centrale, in poche ore, ma potevo, rallentando, sentire le voci degli abitanti, il profumo dei panni stesi ad asciugare e, persino, coltivare il desiderio di addentrarmi nel centro, senza timore di ostruire le strade. Nonostante tutte queste cose positive, però, fu la moto a sorprendermi – ancora una volta – perché sentii delle urla alla mia destra: erano bambini che avevano smesso di giocare al pallone e si agitavano per salutarmi, emozionati dal vedere una moto nel paese. Allora, solo allora, capii che in 40 anni di vita mi ero sempre solo spostato e non avevo mai ancora viaggiato. E il ricordo di quei bambini, che agitavano le braccia, resta scolpito in me più che ogni altra foto di Manhattan, San Francisco, Las Vegas, Parigi, Barcellona, Londra, Berlino e i mille altri luoghi dove, negli anni passati, mi sono spostato, senza però viaggiare.
(Aiko è il nome scelto da me e mia moglie per la mia prima moto, che è quella in foto. Nell’antica lingua giapponese, Aiko significa “Bambina nata dall’Amore).
Luca Miniero