Le ragioni per cui dobbiamo sostenere Luigi Di Maio

In queste ultime settimane, si sono ripetuti interventi autorevoli, d’intellettuali d’indiscussa fama e di riconosciuta terzietà, caratterizzati da una netta preoccupazione per la nascita di un governo politico che abbia, come piattaforma programmatica, il documento costruito dagli esponenti della Lega (ex Nord…almeno nel nome) e del Movimento 5 Stelle.

Tra questi, spiccano i nomi del professor Domenico De Masi e del professor Gustavo Zagrebelsky. Sono state evocate figure e definizioni davvero scoraggianti: l’Uno ha parlato di “marea nera” e di svolta “lepenista”, l’Altro di “partitocrazia finora mai vista”.

Il Movimento 5 Stelle, tuttavia, non nasce per portare avanti un’ideologia ma per dare forma e sostanza di azione alla cittadinanza. Quando ci si iscrive al Movimento non viene chiesto se si è marxisti o liberali, Kantiani o Hegheliani ma se si è già militato in altre formazioni politiche. Non ci sono, dunque, premesse ideologiche che possano essere disattese. Il Movimento ha però dei valori: la dignità della persona, il rispetto dell’ambiente, la digitalizzazione della società, finalizzata alla partecipazione diretta e paritaria.

Sebbene non abbia mai pensato di diventare portavoce del Movimento, ho sempre amato profondamente questa espressione: cosa c’è di più rivoluzionario dell’essere un portavoce? Significa essere umile, mettere la propria faccia, le proprie gambe, la propria persona sotto i riflettori, con l’unico scopo di portare – in modo più diretto ed immediato – nelle Istituzioni, le esigenze che milioni di cittadine e cittadini esprimono nei Territori (maiuscola voluta).

Nella legislatura inaugurata nel 2013, il Movimento 5 Stelle prese circa 60mila voti in più del PD, che pure risultò primo partito per attribuzione di seggi, in virtù di una Legge – il cd Porcellum (termine che non amo, atteso che i maiali hanno sensibilità e intelligenza pari a quella di un essere umano di sette anni – dichiarata poi costituzionalmente illegittima. Non ci furono però identiche levate di scudi, da parte della cd intellighenzia.

Nella prospettiva ideologica del Prof. De Masi, la nascita di un governo che non ha contrappesi a sinistra è certamente non auspicabile. Dobbiamo però ricordare che quando la prospettiva e la natura di una formazione politica sono post-ideologiche, se da un lato può mancare un ancoramento dichiaratamente antifascista, dall’altro non esistono preclusioni per personalità con formazioni culturali ispirate al socialismo europeo. L’indicazione del Prof. e Avv. Conte conferma proprio questa riflessione.

Forse non è un caso che la principale dichiarazione odierna del partito di destra proclamata  – la Lega – faccia riferimento alla necessità d’intervenire per riattivare la crescita del Paese, atteso il largo consumo di psicofarmaci da parte di persone estromesse dal mercato del lavoro. Si tratta di una riflessione davvero post-ideologica: lo Stato spende milioni di Euro per rifornire di psicofarmaci persone in incipiente depressione, conseguente a problematiche lavorative; se aggiungessimo il costo dei centri per la salute mentale e quello dei centri per l’impiego – da anni non più in  grado di mettere in connessione domanda ed offerta del lavoro – il conto salirebbe a centinaia di milioni di Euro. A miliardi di euro, per la verità (sono 2 quelli necessari a strutturare adeguatamente i soli centri per l’impiego). Ebbene, il populista e fascista Salvini, oltre ad aver utilizzato uno spazio comunicativo rilevante per riferirsi alla condizione operaia, si esercita anche in una valutazione che piacerebbe a moltissimi liberali di stampo classico.

La Politica, come sappiamo, è riallocazione delle risorse: non so dove vogliate collocare un governo che si preoccupa di spostare i soldi attualmente destinati alle grandi imprese farmaceutiche verso una riqualificazione e reintroduzione al lavoro ma a me pare una proposta di buon senso, in accordo con la migliore tradizione liberista e socialista europea. Una proposta, peraltro, pienamente coerente con le istanze sociali che, soprattutto al Sud, sono state alla base del successo del Movimento 5 Stelle.

Anche le critiche del Prof. Zagrebelsky colgono aspetti rilevanti. La nostra Costituzione è certamente tra le migliori che la cultura giuridica occidentale abbia prodotto. La distribuzione dei poteri e dei contrappesi è davvero sapiente, nell’architettura istituzionale che la seconda e la terza parte di tale fondativo Documento appronta.

Tuttavia, all’indomani della guerra civile che aveva dilaniato il nostro meraviglioso Paese – terminata col sacrificio di centinaia di migliaia di vite e la perdita di parti rilevantissime del nostro patrimonio culturale – la società italiana era composta, per lo più, da persone con un basso grado di scolarizzazione, un’informazione basata sulla sola carta stampata e un’influenza rilevantissima da parte delle potenze vincitrici della seconda Guerra Mondiale. Non esisteva la televisione, non c’erano autostrade, non c’erano aeroporti paragonabili quelli attuali. Larghissime parti del nostro territorio erano caratterizzate dall’assenza di infrastrutture anche primarie quali ospedali, scuole e strade, e ciò anche il molte zone del Nord, quali il Veneto.

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La necessità dunque di affidare alle ritualità istituzionali ed al confronto complesso tra Organi dello Stato la definizione dei momenti topici della vita democratica- tra i quali certamente si ascrive la formazione di un nuovo governo – era dettata dall’opportunità di affidare a persone di elevata levatura culturale e solida formazione giuridica, oltre che politica, il completamento del circuito democratico, nei segmenti in cui lo stesso poteva essere indebolito o assottigliato per la mancanza di una partecipazione vigile della cittadinanza sulla pratica dei partiti.

I partiti novecenteschi, per aspirazione Costituzionale, nonché per ammissione dei migliori studiosi della scienza delle dottrine politiche, hanno svolto funzioni pedagogiche e di orientamento nei confronti delle proprie basi. Basti pensare al ruolo delle Case del Popolo, nelle Regioni del Centro Italia ovvero delle parrocchie e degli Oratori/delle Acli nelle Regioni connotate da maggiore fervore religioso.

Per quanto l’Italia resti un paese fortemente arretrato, sul piano delle infrastrutture tecnologiche – siamo ventottesimi per copertura del segnale Internet sul territorio e ventisettesimi per numero di utenti Internet, tra i 28 paesi dell’Unione Europea – non c’è dubbio che oggi la partecipazione democratica, l’informazione diffusa, il più elevato grado di  scolarizzazione nonché la molteplicità delle fonti informative renda, da un lato, più vigile e consapevole l’insieme delle cittadine e cittadini, dall’altro meno essenziale che figure come la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Senato ovvero la Presidenza della Camera esercitino in maniera larga le proprie prerogative.

Non si tratta di sminuire il valore delle Istituzioni ma di prendere atto della più corta filiera che l’avvento della digitalizzazione ha introdotto nel circuito informativo e partecipativo, modellando anche il rapporto tra cittadino e Stato. Se nei servizi – pensiamo gli uffici di Equitalia o ai famigerati CUP – si avverte sempre maggiore distanza, tra aspettative del cittadino e capacità dello Stato di adeguarsi alle necessità ed ai tempi della vita moderna, dall’altro, quando le Istituzioni sono chiamate a definire la piattaforma politica che regolerà gli anni futuri della vita collettiva, determinando le scelte di politica estera, economica, fiscale, del lavoro ecc.  i barocchismi e i machiavellismi essenziali ad assicurare un sufficiente grado di partecipazione al corpo elettorale, sembrano del tutto fuori luogo: oggi non è più necessaria una delega pluriennale ed una interpretazione dei comportamenti da parte di analisti e politologi: il politico si rapporta direttamente al cittadino attraverso una diretta Facebook e assai più immediate sono le conseguenze di un nascente dissenso, rispetto alla leadership di una formazione politica.

La critica di Zagrebelsky si appunta sull’equilibrio e sul rapporto che deve intercorrere tra i partiti e il presidente della Repubblica ma non tiene conto, dunque, dell’elevato grado di democraticità che ha caratterizzato la piattaforma programmatica sottoposta da Salvini e di Maio a Mattarella.

Mai prima d’ora, nella storia della Repubblica, formazioni politiche in grado di esprimere e  sostenere un governo per il Paese si erano rivolte alla propria base elettorale, per vedere confermato l’operato delle trattative. Qualcuno sorriderà asserendo che tali consultazioni avevano esito scontato e che si sono svolte in contesti privi della sufficiente solennità, quali sono le urne.

In primis, i fenomeni di voto di scambio e di brogli nelle urne sono talmente connaturati alla ns democrazia che addirittura sulle elezioni del ’48 grava tuttora una pesantissima ombra. Come considerare, in subordine, la percentuale elevata di consenso ricevuta da entrambe le formazioni? E’ tuttavia un altro l’argomento principale, per ritenere le critiche poco fondate: la caratteristica di questa moderna forma di democrazia non sta tanto nella effettiva possibilità di modificare le scelte operate dai rappresentanti di una formazione politica quanto nella stessa consapevolezza che i leader hanno della necessità di dover  sottoporre alla propria base la piattaforma programmatica condivisa con un’altra forza politica: ciò induce, sia i leader, sia le figure intermedie della formazione politica, a massimizzare le proprie capacità di ricezione e di elaborazione corretta delle esigenze, dei bisogni e delle aspettative della base. Non è chi non veda come tale metodo, come tutti perfettibile, sia sideralmente migliore – per contenuti e per aderenza alla realtà degli odierni strumenti di partecipazione – ai machiavellismi d’impronta renziana, ai patti del nazareno, ai caminetti di ieri e di oggi: cioè a tutta quella politica che considera la delega, i congressi provinciali, regionali ecc. un metodo moderno e sicuro di determinazione, senza considerare come sia assai preferibile una piattaforma digitale certificata al mercato triste e corruttivo delle tessere.

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Confesso di avere un rispetto profondissimo per Zagrebelsky ed una stima – se possibile – ancora più elevata per il prof. De Masi ma credo che questa volta siano caduti nella rete di errori in cui si agitano, da un decennio, i sedicenti giornalisti che, cercando d’interpretare con categorie novecentesche il Movimento 5 Stelle, ne fraintendono metodi, obiettivi e natura.

Molti hanno censurato Di Maio affermando che il contratto/accordo di Governo rechi in sé molta più componente leghista che componente movimentista. In primis, non è chi possa negare come, al di là di quanto sottoscritto, sarà poi il quotidiano esercizio della dinamica parlamentare a determinare il prevalere di questa o di quell’altra impostazione. Soprattutto, però, dobbiamo riconoscere a Di Maio di essere stato finora un leader inclusivo e non divisivo, di aver condotto una straordinaria campagna elettorale e di aver agito con prudenza ed abilità sia nella partita delle cariche istituzionali, sia in quella per la formazione dei Governo. Da un cittadino giovane, che appena sei anni fa mai avrebbe immaginato di poter anche solo candidarsi al Parlamento, davvero non si potrebbe pretendere di più. A Salvini riconosco maggiore scaltrezza e furbizia ma Salvini è in politica dal 1993 (io mi ero appena iscritto all’Università…e sono Avvocato da quasi vent’anni….) ma Di Maio ha espresso una dote assai più rara: la capacità d’istituzionalizzare il Movimento, cioè di inspirare sufficiente fiducia a ciò che ci venisse data la possibilità che già meritavamo nel 2013 e che l’intero apparato statuale, economico ed istituzionale ritenne di negarci, con una manovra (quella si!) reazionaria e ai limiti della legittimità costituzionale.

Per questo io dico grazie a Luigi dal profondo del cuore.

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Le ultime righe di questa mia lunga riflessione, però, le voglio dedicare a Renzi, il terzo giovane di questa vicenda. Un uomo che non ha saputo attendere di essere vagliato dal voto e che si è prestato ai giochi di potere della peggiore massoneria, accettando non tanto l’incarico da Napolitano bensì l’imposizione di suoi ministri – dalla giustizia all’economia – di chiara ispirazione merkeliana (merkeliana, non europeista!). Un giovane vecchio, cresciuto nell’ammirazione della peggiore tradizione democristiana – dello spionaggio industriale, della strumentalizzazione dei rapporti con gli USA in chiave domestica, della canalizzazione della spesa pubblica e delle misure macroeconomiche in salsa elettorale, della saldatura tra potere politico e potere bancario – che ci ha fatto rivivere in cinque lunghissimi anni una summa delle peggiori prassi costituzionali, coerentemente culminata nel tentativo di introdurre una riforma eversiva del ns Ordinamento costituzionale.

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Il clamoroso e celere fallimento di Renzi sia di monito a tutti: il Mondo non è più quello che ci hanno insegnato, coi suoi paradigmi ideologici e con la possibilità di aggirare la volontà democratica delle masse attraverso valzer e trabocchetti di Palazzo. Contrariamente ad ogni desiderio ed azione dei potenti, i palazzi sono diventati di vetro e i muri non hanno solo orecchi ma anche citofoni, cellulari, schermi e mail: tutto nasce e si esaurisce velocemente, attraverso il vaglio di un’intelligenza collettiva, ancora molto disarticolata ma pulsante: tutto ciò rende fragili le dittature e resilienti le democrazie, come mai prima è stato nella Storia.

Luca Miniero