Durante la campagna elettorale del 2016, a dispetto di quanto andavano asserendo TV, Stampa e Giornali di tutto il Mondo, ho sempre sostenuto che sarebbe stato Donald Trump a vincere le elezioni presidenziali. A spingermi in tale considerazione era la consapevolezza della distanza siderale esistente tra il linguaggio ed i valori della sinistra americana e la sofferenza e le aspettative dell’America vera, cioè quella parte di USA che difficilmente si può conoscere – salvo a visitare popolose città che non hanno, per noi europei, alcuna attrattiva – e praticamente mai si può vedere nella rappresentazione Hollywoodiana della realtà statunitense.
C’era poi un’ulteriore ragione: la candidatura della Clinton, che non pochi disastri aveva provocato come segretario di stato (penso soprattutto alla Siria) appariva posticcia, imposta dall’alto, quasi estorta dai potenti Clinton alla dirigenza del proprio partito. In verità, neanche i repubblicani se la passavano troppo bene: nessuno era stato capace di arginare l’ascesa di Trump, che pure era apparsa, sin da subito, come la più improbabile e “un-fit” delle candidature.
Insomma: se Trump era riuscito a scalare il partito repubblicano, non sarebbe stato certo un partito democratico ostaggio dei Clinton e terrorizzato dalle proposte di Sanders ad arginare lo tsunami populista cavalcato dal miliardario newyorkese.
Sono certo che troverete dei mie tweet o post, in giro per la rete, dove apparivo – dunque – esaltato dall’esito delle elezioni: ora, come allora, a produrre tale sentimento non era il compiacimento per la vittoria di Trump quanto, piuttosto, la speranza che la sinistra si liberasse delle zavorre degli anni ’90, ovvero di quella classe dirigente, simbolicamente rappresentata dai Clinton, dai Blair e, in Italia, dai “Renzie’s”, che aveva tradito tutte le proprie convinzioni valoriali – soprattutto in materia economica – spalancando le porte del Mondo alla globalizzazione selvaggia, avallando riforme estreme che neanche la destra liberista avrebbe osato proporre e determinando, in definitiva, l’impoverimento di centinaia di milioni di persone, definite “middle class” ovvero la classe media.
In questa considerazione avevo certamente sottovalutato l’assenza di pudore e remore, da parte di Trump, rispetto alle modifiche che avrebbe inteso apportare al cd Nuovo Ordine Mondiale. Non ero molto preoccupato per l’economia americana – che infatti va a gonfie vele – perché sapevo che i poteri attribuiti al Presidente sono ben controbilanciati, nella Costituzione USA, dal Congresso, luogo nel quale le lobbies, delle grandi compagnie e multinazionali, coltivano intere carriere e muovono voti con una precisione militare che nessun Presidente potrà mai arginare.
Avevo invece sottovalutato l’auto-referenzialità di Trump – che è elemento soprattutto caratteriale – e l’assenza di cultura internazionale di questo Presidente.
Le cancellerie diplomatiche, si sa, non brillano per iniziativa e/o per attivismo ma hanno avuto il merito – almeno dalla Seconda Guerra Mondiale in poi – di arginare recrudescenze bellicose, riconducendole allo stato di conflitti e tensioni – talora purtroppo permanenti – i cui danni sono certamente minori di una guerra.
La notizia dell’uscita degli USA dall’ONU è una notizia che certifica l’assoluta spregiudicatezza e la mancanza di conoscenza della Storia e del ruolo che gli USA hanno, da parte del presidente Trump. L’ONU fu creata dopo la seconda Guerra Mondiale e, a differenza della preesistente Società delle Nazioni, fu dotata di un esercito. Tale previsione fu fatta perché quando la Società delle Nazioni chiese a Hitler di non invadere la Polonia -azione dalla quale scaturirono una serie di guerre lampo europee, con le quali si aprirono le danze per la Seconda Guerra Mondiale – difronte al “me ne frego” Hitleriano, non esisteva un esercito in grado d’intervenire. Ecco perché l’ONU fu dotata di un esercito.
L’ONU, tuttavia, non è mai stata, neanche sulla carta, un’organizzazione paritaria: esiste un Consiglio di Sicurezza, del quale sono membri permanenti gli Stati vincitori della Seconda Guerra Mondiale, tra cui gli USA. Molte risoluzioni dell’ONU non sono state assunte, per l’esistenza di veti, imposti dagli stessi USA. Ciò nondimeno, senza voler nascondere la ricorrente tardività di tali interventi, i caschi blu dell’ONU hanno arginato il numero di vittime (pensiamo alla ex Jugoslavia, al Libano, al sudan, alla Somalia ecc.) che, altrimenti, sarebbe stato assai maggiore.
Il diritto internazionale è un diritto fragile perché non c’è una forza militare o di polizia capace di assicurarne il rispetto quando Paesi potenti o nuclearizzati si mostrano reticenti all’osservanza delle norme; ciò nondimeno, il ruolo degli Stati Uniti – in molte occasioni – è stato esercitato tenendo conto anche delle critiche e delle esigenze provenienti da Stati non alleati con gli USA. Ciò è avvenuto perché c’è stata, un tempo lontano, una sinistra capace di essere autorevole portavoce delle istanze degli ultimi del Mondo.
Oggi, purtroppo, ai cattivi maestri come Trump si contrappongono, ancora, i pessimi Demiurghi alla Clinton, che sono stati i principali fautori dell’emersione di populismi privi di cultura. Se un’alternativa c’è non va certamente cercata in una restaurazione della sinistra, invisa alle masse e incapace di operare in maniera razionale e scevra da ideologie frenanti. Nemmeno il “tanto peggio tanto meglio” trumpista, tuttavia, può indicare una sicura uscita per il Pianeta: sono certo che anche coloro che intimamente godono di questa parcellizzazione degli Ordinamenti, vedendo nella distruzione dell’ONU una vittoria del popolo contro i paradigmi del potere costituito, sanno – in fondo al loro cuore – che un’Umanità interconnessa tecnologicamente, che si è avviata verso l’IOT (internet delle cose) non potrà sopravvivere se si scompone in centinaia di autarchie nazionali e nazionaliste. Il Mondo è troppo interconnesso perché possano funzionare politiche basate su dazi e veti incrociati. Il futuro è quello di un Pianeta totalmente interconnesso, composto non più da Nazioni ma da sistemi.
Gli USA avrebbero dovuto e potuto dare un grande contributo ad una riforma, in senso democratico, della governance dell’ONU, consentendo anche ad altri Stati di prendere maggiormente parte al Consiglio di Sicurezza ovvero riformando completamente criteri e meccanismi di assunzione delle determinazioni.
La progressiva partecipazione dei cittadini al Governo del Mondo metterà per sempre fine ad ogni guerra, in ogni parte del globo, perché la maggioranza dell’umanità è proiettata verso la sopravvivenza, la pace e lo sviluppo ma in attesa che le tecnologie rendano definitiva la caduta dei confini nazionali e la creazione di un governo unico mondiale, ci attendono sfide e crisi davvero pericolose.
Quando Gianroberto Casaleggio previde tutto ciò, nel documentario “GAIA”, molti sorrisero. Io sono certo che – un giorno non molto lontano – si parlerà di Casaleggio come dell’erede morale di Olivetti e/o come di un altro esempio dell’eccellenza italiana nella storia delle idee. Ma le idee non bastano per scongiurare le tragedie: il verbo di Cristo apparve nell’anno zero ma cinque secoli dopo c’erano ancora migliaia di cristiani martirizzati in ogni angolo dell’Impero tutt’oggi, il principale messaggio del Vangelo “Ama il tuo prossimo come ami te stesso” è spesso scritto nella Legge – uguale per tutti – ma poco attuato. Le idee senza la politica, intesa come l’arte di assicurare alle comunità il governo delle migliori idee, attuato dai migliori uomini, sono un manifesto utile per chi vivrà il tempo in cui quella politica si manifesterà, non per scongiurare anche i più abietti crimini del presente, tra i quali certamente possiamo già inserire la segregazione forzata dei bambini messicani, al confine meridionale degli USA.